La Diagnosi prenatale studia le malattie o le condizioni di un feto o embrione prima di nascere. L’obiettivo è quello di individuare i difetti di nascita, come difetti del tubo neurale, sindrome di Down, anomalie cromosomiche, malattie genetiche e le altre condizioni. Può anche essere utilizzato per determinare il sesso del nascituro.
La diagnostica prenatale può avvalersi di metodi invasivi o non invasivi. Un metodo invasivo è rappresentato dall’amniocentesi, che può essere eseguita a partire da circa 16 settimane di gestazione, e di solito fino a circa 20 settimane. Un altro metodo è rappresentato dal prelievo dei villi coriali, che può essere eseguito precocemente (tra 11 e 12,5 settimane di gestazione. Metodi non invasivi, chiamati “screening”, possono valutare il rischio di una condizione e non è possibile determinare al 100% se il feto sia affetto da quella determinata condizione. Le tecniche non invasive comprendono esami che utilizzano l’ecografia e valutazioni su sangue materno (ad esempio alfa-fetoproteina) I test possono essere utilizzati per verificare la presenza di patologie quali la sindrome di Down, spina bifida, palatoschisi, malattie genetiche (come la malattia di Tay Sachs, la talassemia, la fibrosi cistica e la sindrome x fragileIn caso di un risultato positivo si eseguirà un test di diagnosi prenatale invasiva per raccogliere maggiori informazioni.
Ci sono tre fini della diagnosi prenatale: (1) per attivare tempestivamente un trattamento medico o chirurgico di una condizione prima o dopo la nascita, (2) per dare ai genitori la possibilità di decidere se proseguire nella gravidanza, e (3) per dare genitori la possibilità di “prepararsi” ad un bambino con un problema di salute o disabilità.
Avere tali informazioni prima della nascita significa che il personale sanitario può meglio prepararsi ad assistere un bambino con problemi anatomici e/o genetici.
Il professor Claudio Giorlandino dirige il Centro di Eccellenza di Diagnosi prenatale presso l’Artemisia Main Center Roma.